Foshan Bak Mei – New Martial Hero Magazine Europe


 

da: New Martial Hero Magazine Europe – autore: Shifu Gianni de Nittis

FOSHAN BAK MEI

 

Le origini di un antico stile di Kung Fu cinese tra mito

 

…la leggenda…

Lo stile Foshan Bak Mei, anche detto Pak Mei, continua, da secoli, a convivere tra realtà, mito e leggenda. Tra storie tramandate, aneddoti sbiaditi e racconti controversi, questo sistema di Kung Fu tradizionale cinese e i suoi personaggi appaiono avvolti da un alone di mistero.

L’impenetrabilità della sua evoluzione marziale e di “clan”, infatti, rende il Pak Mei uno tra i sistemi di Kung Fu più misteriosi e poco conosciuti nel mondo delle arti marziali cinesi.

Lo stile Foshan Bak Mei, letteralmente “Boxe del Sopracciglio Bianco”, ebbe origine nel 1647, tre anni dopo la nascita della dinastia Qing, quando il suo creatore Pak Mei (Pai Mei o Bak Mei) codificò il sistema sulle montagne Emei, nell’odierna provincia di Sichuan.

Le antiche leggende raccontano che il monaco Pak Mei sarebbe stato allievo del Tempio Shaolin del Quanzhou, nella provincia del Fujian. Il giovane monaco, di natura piuttosto originale

e fiera, voleva essere il più forte e per questo si allenava tutti i giorni, senza sosta. Così, giorno dopo giorno, continuava a misurarsi in combattimenti con gli altri studenti uscendone sempre vittorioso.

Il superiore del tempio cercò incessantemente di placare il carattere bellicoso del giovane. Tuttavia, egli, non curante dei consigli dell’abate, continuò con le sue sfide, finché un giorno l’abate, stufo di questo comportamento, decise di cacciare il giovane monaco. Quest’ultimo era troppo orgoglioso e non voleva lasciare il tempio, così sfidò in combattimento persino l’abate.

Grazie alla sue esperienza e alla sua alta padronanza dello Shaolin l’abate non ebbe difficoltà a sconfiggere il giovane monaco e a cacciarlo dal tempio. Così, egli, offeso dal fatto di essere stato vinto, giurò che sarebbe tornato, un giorno, a vendicare l’affronto subito.

Si rifugiò sulle montagne dell’Emei, convertendosi al taoismo e alla tecnica di coltivazione del Qi “Nei Kong”, specialità dei taoisti dell’epoca. In questo modo riuscì a creare un sistema che coniugava brillantemente l’aspetto interno“Nei Kong”, basato sulla respirazione taoista, e l’aspetto esterno “Wei Kong”, specialità di Shaolin, formulando quindi un sistema di combattimento completo ed assolutamente spietato.

Dopo parecchi anni, il monaco, che continuava a nutrire rancore verso l’abate di Shaolin che lo aveva cacciato dal tempio tempo prima, forte della sua nuova tecnica di combattimento, si recò al tempio e sfidò il superiore senza grandi difficoltà.

L’imperatore della Cina dell’epoca Qian Long (1736-1796) della dinastia barbara dei Qing, sospettando che il tempio di Shaolin ospitasse un gruppo di rivoluzionari (che cercavano di ripristinare la dinastia reale cinese dei Ming), quando venne a conoscenza della controversia tra Pak mei e il Tempio Shaolin propose al monaco di portare un’offensiva verso il tempio Shaolin. Il monaco accettò, fece trionfare le truppe e distrusse il tempio.

Le leggende, si sa, sono come un velo sottile sull’invisibile mare della storia, e su un tale mare di informazioni e storie passano leggere tra un onda e l’altra nell’implacabile scorrere del tempo. Questo passaggio, tuttavia, non è lucido e chiaro, ma soggettivo e interpretabile a seconda di storie, fatti e personaggi.

La seconda leggenda tramandata si svolge al tempio Shaolin del monte Jiulian (Putian) in provincia di Fujian. A quel tempo, l’imperatore Kang Xi (1662-1722) temendo una rivolta

anti Qing inviò il suo esercito per terminare il bastione della ribellione nel Tempio di Shaolin. L’incendio del monastero fece morire tutti i monaci, salvo cinque: Jee Shim si, Ng Mui , Miu Him, Fung Tao Tak o Lei Ban San e Pak Mei, i cosidetti cinque antenati.

Dopo la distruzione del tempio partirono tutti verso Sud, nella provincia di Canton, diffondendo i loro sistemi. Ad eccezione di Pak Mei, il quale preferì rifugiarsi sui monti Emei. Poiché era inseguito dall’esercito Manchu, il monaco cambiò il suo nome in modo che non potesse essere riconosciuto, travestendosi da taoista. Dopo la sua morte, un suo discepolo chiamò il suo sistema di Kung Fu “Pak mei “ (sopracciglio bianco), soprannome dato in relazione alle lunghe sopracciglia bianche che possedeva il vecchio maestro in segno di rispetto e in modo che l’esercito Manchu non venisse a conoscenza della sua esistenza.

Personalmente, ho ascoltato, nel corso degli anni, da parte dei vari “clan” di Bak Mei diverse versioni su mito e origine del sistema. Ma, come in altri sistemi che pratico, ritengo la veridicità di fatti e situazioni semplice appendice di una antica cultura, nella quale la verità e il rispetto sono da ricercarsi in un istante attuale e intenso fatto di allenamento e rapporti sinceri con i propri maestri. Vivere nel ricordo, sogno o illusione di chi sono stati i Maestri passati può spesso condizionare la mente del praticante nel guardare la realtà attuale della pratica. Probabilmente il personaggio Pak Mei non è mai esistito, o forse è divenuto tale nei racconti per bambini e nelle gesta delle novelle “wuxia”, nessuno potrà mai saperlo con certezza, ma di sicuro esiste come in tutti gli stili, una eredità culturale, folklorica e simbolica reale.

…la storia…

Attualmente esistono due discendenze dello stile Bak Mei. Quella di Cheung Lai Cheun, divisa nella branca del Guanzhou e di Hong Kong, e quella di Foshan.

La discendenza di Foshan fa capo a Sigung Lao Siu Leung (1906-1977). Nato a Nam Hoi, cittadina nella provincia di Foshan del Guanzhou, iniziò lo studio del Bak Mei con il monaco Fo Tao Kwan, un monaco taoista della città di Siu Gwan, provincia di Canton, e successivamente perfezionò il suo allenamento con il monaco Chuk Yun.

Si dice che, una volta terminato il suo apprendistato, partecipò alla guerra contro i giapponesi dove perse moglie e figli durante un bombardamento, per poi fare ritorno a Foshan. Al suo ritorno, Lao Siu costruì la sua reputazione e il suo rispetto sulla sua attitudine marziale e, come spesso capitava, sulle sfide vinte. Parecchi dei suoi sfidanti divennero poi suoi allievi. Nonostante questo carattere forte, Lao Siu sceglieva i suoi allievi in maniera molto selettiva ed insegnava solo a chi possedeva le

qualità marziali e morali per apprendere il suo sistema.

Non possedendo una scuola ha insegnato al Park Wing tutte le mattine e tutte le sere fino alla sua morte, all’età di 71 anni. Grazie

a Sigung Lao Siu Leung e al “clan” Bak Mei di Foshan sono state tramandate forme e principi di un sistema antico e misterioso. Al giorno d’oggi esistono solo quattro scuole (una in Francia, una in Italia, due negli Stati Uniti) che insegnano il Foshan Bak Mei fuori dalla Cina. E anche nella stessa

Foshan pochi hanno studiato l’intero sistema. In passato, infatti, non venivano insegnate tutte le forme di un sistema, in quanto i praticanti dell’epoca non desideravano imparare tutto, ma piuttosto imparare a combattere.

…aspetti tecnici…

Dal punto di vista tecnico il Foshan Bak Mei è uno stile dinamico e completo. Infatti, sebbene sia prevalentemente un sistema di combattimento a breve distanza (Thune Kiou), possiede anche una serie di tecniche di combattimento a lunga distanza (Cheun Kiou). Lo stile è stato sviluppato in modo da trovare sempre e comunque una via d’uscita in situazioni di attacco, e indipendentemente dal tipo di attacco dell’avversario, è in grado di offrire una reazione logica e funzionale.

Per la maggior parte del tempo la linea centrale è protetta e le mani non ritornano ai fianchi. La maggior parte delle tecniche viene sviluppata con una serie di attacchi eseguiti indistintamente con la mano destra e sinistra, attacco e difesa simultanei, assorbendo, deviando o attaccando la linea centrale, controllando le braccia dell’avversario e guadagnando in tempismo. Il Foshan Bak Mei utilizza strategicamente le sue tecniche dividendo il corpo in varie sezioni: Saam Mun, o tre porte orizzontali; Saam Lou, o i tre sentieri verticali; Saam Gwaan , o tre cancelli, in riferimento al concetto di suddivisione delle braccia in tre aree distinte. Lo stile fonda la sua strategia e la sua psicologia simbolica sulla ferocità della tigre e sulla velocità del leopardo. L’applicazione in combattimento è esplosiva, e l’energia sviluppata è breve e violenta. I cinque Principi base del Foshan Bak Mei sono racchiusi in: 1- Ging : Energia; 2- Tran : Elasticità; 3- Too : Contrazione/ Decontrazione; 4- Tsoo : Deviazione; 5- Sauk : Assorbimento. Senza la comprensione e l’applicazione dei principi base si perde l’anima dello stile e non può esserci approfondimento sulle applicazioni marziali, né sul lavoro interno.

In questo stile l’obiettivo è trasformare, tramite l’addestramento dell’energia intrinseca del corpo, l’iniziale Lik (forza muscolare pura) in un Ging avanzato (termine complesso usato per riferirsi non solo alla potenza marziale, ma a tutte le fasi di rilascio della forza; Ging si riferisce alla realizzazione di un’azione senza unico affidamento alla forza fisica durante l’intero corso del movimento).

Infatti, supportando sia la fisiologia interna dell’individuo sia il fisico esterno, può essere possibile massimizzare il proprio potere marziale e “non usare la forza bruta” (Bat yung maan lik).

Le zone chiave del Ging (Luk Ging) sono le 6 aree critiche del corpo identificate dallo stile:

1-Geuk (gambe)

2-Yiu (anca)

3-Fuk (addome)

4-Bok (gomito)

5-Sau (mano)

6-Geng (collo).

La loro sincrona collaborazione facilita una forza ottima che può essere generata e rilasciata nell’esecuzione delle tecniche del Bak Mei. Ogni settore contribuisce ad un continuum di produzione di forza che fa da collegamento con porzioni significative del corpo da terra verso l’alto per completare il circuito cinetico.

Come in ogni sistema tradizionale che si rispetti, anche nel Foshan Bak Mei gli esercizi di Lin Gung o esercizi sul condizionamento del corpo fondano la base di un corretto apprendimento e ulteriore sviluppo o evoluzione del sistema.

Lo stile Bak Mei porta con sé un alone di mistero e ancora oggi si temono i praticanti di questo stile “maledetto” immaginando spesso che questi facciano parte di società segrete. Tale ragione nasce anche in un’epoca, quella della rivoluzione verso i Qing, dove “clan” rivoluzionari organizzati diedero origine alle prime società segrete note come “Triadi”.

Ad oggi il sistema Foshan Bak Mei è uno stile che racchiude in sé tutte le gesta, le tradizioni l’evoluzione tecnica e marziale e le contraddizioni di una storia lunga e faticosa, che nel corso dei secoli ha dato vita a interpretazioni e leggende, mito e realtà.

Tuttavia lo stesso Confucio insegna che

“Un buon maestro è colui che, pur ripetendo l’antico, è capace di trovarvi aspetti nuovi”.

Il Chan (Zen) insegna la profonda visione dell’istante attuale. Le gesta degli antichi Maestri rappresentano la storia del Kung Fu tradizionale, e tracciano le basi di un cammino sul quale proseguire con coraggio e fiducia. Ma la storia attuale è fatta di uomini reali e solo dall’attuale parte la vera traccia del fare ed essere Kung Fu. Ai giorni nostri, troppo spesso, “maestri di kung fu” si nascondono nell’immagine e nel riflesso di nomi e gesta di un passato a cui non appartengono. La mitologia, il culto delle reliquie e delle icone, lo scimmiottare i maestri passati non dovrebbe appartenere ad un praticante reale di Kung Fu perché “il tuo Maestro è chi conosci ed hai conosciuto realmente, non chi vive nella tua mente illusoria”.